Alda Merini

 

Sono nata il ventuno a primavera

Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.

(da “Vuoto d’amore”)

 

Il gobbo

Dalla solita sponda del mattino
io mi guadagno palmo a palmo il giorno:
il giorno dalle acque così grigie,
dall’espressione assente.
Il giorno io lo guadagno con fatica
tra le due sponde che non si risolvono,
insoluta io stessa per la vita
… e nessuno m’aiuta.
Mi viene a volte un gobbo sfaccendato,
un simbolo presago d’allegrezza
che ha il dono di una stana profezia.
E perché vada incontro alla promessa
lui mi traghetta sulle proprie spalle.

(22 dicembre 1948 – da”Poetesse del Novecento” 1951)

 

Bambino

Bambino, se trovi l’aquilone della tua fantasia
legalo con l’intelligenza del cuore.
Vedrai sorgere giardini incantati
e tua madre diventerà una pianta
che ti coprirà con le sue foglie.
Fa delle tue mani due bianche colombe
che portino la pace ovunque
e l’ordine delle cose.
Ma prima di imparare a scrivere
guardati nell’acqua del sentimento.

 

Canto alla luna

La luna geme sui fondali del mare,
o Dio quanta morta paura
di queste siepi terrene,
o quanti sguardi attoniti
che salgono dal buioa ghermirti nell’anima ferita.

La luna grava su tutto il nostro io
e anche quando sei prossima alla fine
senti odore di luna
sempre sui cespugli martoriati
dai mantici
dalle parodie del destino.

Io sono nata zingara, non ho posto fisso nel mondo,
ma forse al chiaro di luna
mi fermerò il tuo momento,
quanto basti per darti
un unico bacio d’amore.

(da “Vuoto d’amore” Einaudi 1991)

 

Corpo, ludibrio grigio

Corpo, ludibrio grigio
con le tue scarlatte voglie,
fino a quando mi imprigionerai?
anima circonflessa,
circonfusa e incapace,
anima circoncisa,
che fai distesa nel corpo?

(da “La Terra Santa” 1984)

 

Un’armonia mi suona nelle vene

Un’armonia mi suona nelle vene,
allora simile a Dafne
mi trasmuto in un albero alto,
Apollo, perché tu non mi fermi.
Ma sono una Dafne
accecata dal fumo della follia,
non ho foglie né fiori;
eppure mentre mi trasmigro
nasce profonda la luce
e nella solitudine arborea
volgo una triade di Dei.

(da “La Terra Santa” 1996)

 
 

Lettere                                  a Silvana Rovelli

Rivedo le tue lettere d’amore
illuminata, adesso, dal distacco;
senza quasi rancore…

L’illusione era forte a sostenerci;
ci reggevamo entrambi negli abbracci
pregando che durassero gli intenti,
ci promettemmo il “sempre” degli amanti,
certi nei nostri spiriti d’Iddii…

… E hai potuto lasciarmi,
e hai potuto intuire un’altra luce
che seguitasse dopo le mie spalle!

Mi hai suscitato dalle scarse origini
con richiami di musica divina,
mi hai resa divergenza di dolore,
spazio per la tua vita di ricerca
per abitarmi il tempo di un errore…

… E mi hai lasciato solo le tue lettere
onde ne ribevessi la mia assenza!

(gennaio 1949 – da “La presenza di Orfeo”)

 

Il liuto

Dalle mani magnifiche del cuore
sei percorso nobile strumento
che stai dentro le labbra del signore.
E il tocco è bianco
come di una corda che vibra
e come la mia rima
che dovrebbe essere una parola
e invece è un pensiero
una canzone.

(da”Aforismi e magie”)

 

Se avess’io

Se avess’io levità di una fanciulla
invece di codesto, torturato,
pesantissimo cuore e conoscessi
la purezza delle acque come fossi
entro raccolta in miti-sacrifici,
spoglierei questa insipida memoria
per immergermi in te, fatto mio uomo.

Io ti debbo i racconti più fruttuosi
della mia terra che non dà mai spiga
e ti debbo parole come l’ape
deve miele al suo fiore. Perchè t’amo
caro, da sempre, prima dell’inferno
prima del paradiso, prima ancora
che io fossi buttata nell’argilla
del mio pavido corpo. Amore mio
quanto pesante è adducerti il mio
carro che io guido nel giorno dell’arsura
alle tue mille bocche di ristoro!

(da “Tu sei Pietro”)

 

Quando l’angoscia

Quando l’angoscia spande il suo colore
dentro l’anima buia
come una pennellata di vendetta,
sento il germoglio dell’antica fame
farsi timido e grigio
e morire la luce del domani.

E contro me le cose inanimate
che ho creato dapprima
vengono a rimorire dentro il seno
della mia intelligenza
avide del mio asilo e dei miei frutti,
richiedenti ricchezza ad un mendìco.

( 1954 da “Nozze romane” 1955)

 

Io sono una città nera.

Io sono una città nera
e una rondine notturna.
Qualche ragazzo mi sorride
e allora divento volpe canterina.
Un mare di pesci
mi nuota sempre intorno,
sono i falsi poeti
che vogliono toccare il genio
con la piuma contorta
di un’insana voracità
ma la curiosità è un grillo schiacciato
che fa finta di essere un’anima.

(da “Il Re delle Vacanze” favole, poesie, aforismi. Ed. Acquaviva)

 

Lasciando adesso che le vene crescano

Lasciando adesso che le vene crescano
in intrichi di rami melodiosi
inneggianti al destino che trascelse
te fra gli eletti a cingermi di luce…
In libertà di spazio ogni volume
di tensione repressa si modella
nel fervore del moto e mi dissanguo
di canto “vero” adesso che trascino
la mia squallida spoglia dentro l’orgia
dell’abbandono. O, senza tregua più,
dannata d’universo, o la perfetta
nudità della vita,
o implacabili ardori riplasmanti
la già morta materia: in te mi accolgo
risospinta dagli echi all’infinito.

( da “La presenza di Orfeo” – 4 ottobre 1950)

 

Spazio

Spazio spazio, io voglio, tanto spazio 
per dolcissima muovermi ferita: 
voglio spazio per cantare crescere 
errare e saltare il fosso 
della divina sapienza. 
Spazio datemi spazio 
ch’io lanci un urlo inumano, 
quell’urlo di silenzio negli anni 
che ho toccato con mano.

(da “Vuoto d’amore”)

 

La mia poesia è alacre come il fuoco

La mia poesia è alacre come il fuoco,
trascorre tra le mie dita come un rosario.
Non prego perché sono un poeta della sventura
che tace, a volte, le doglie di un parto dentro le ore,
sono il poeta che grida e che gioca con le sue grida,
sono il poeta che canta e non trova parole,
sono la paglia arida sopra cui batte il suono,
sono la ninnananna che fa piangere i figli,
sono la vanagloria che si lascia cadere,
il manto di metallo di una lunga preghiera
del passato cordoglio che non vede la luce

(da “La volpe e il sipario” – 1997)

 

Ieri sera nel basso dentro la gioconda osteria

Ieri sera nel basso dentro la gioconda osteria
un uomo trangugiava il suo vino
con una voluttà bacchica e assente,
io guardavo la sua gola turgida
di vino e dimenticanza
e mi chiesi come mai mi tenessi in cuore una spina
senza chiedere aiuto a Bacco.

(da “Le satire della Ripa”)

 

Ad Ettore

Ho avuto paura della morte
paura dei tuoi paradisi
tu eri la mia ape 
poggiavi sopra di me
con la tua benevolenza
e suggevi del fiore delle mie rime
tutto il mite coraggio.
Tu mi eri fratello
ed eri anche poeta…
Ma perderti così
per banale allegria
per la morte irridente
o compagno di sogni
che cosa avrei io fatto!
Non son donna da piangere le stele
né i silenzi dei cimiteri
io sono donna di amore
e tu lo sai bene
che cosa avrei fatto io?
Ti avrei rincorso nei sogni
lo so, e poi, lentamente
sarei scivolata nel sonno
nel sonno della follia
e lì, amandoti sempre,
io sarei morta di amore.

(da “Destinati a Morire. Poesie vecchie e nuove”)

 

Genesi                      a Pietro De Pascale

Vorrei un figlio da te che sia una spada
lucente, come un grido di alta grazia,
che sia pietra, che sia novello Adamo,
lievito del mio sangue e che risolva
più quietamente questa nostra sete.
Ah, se t’amo, lo grido ad ogni vento
gemmando fiori da ogni stanco ramo,
e fiorita son tutta e d’ogni velo
vò scerpando il mio lutto
perché genesi sei della mia carne.
Ma il mio cuore, trafitto dall’amore
ha desiderio di mondarsi vivo.
E perciò dàmmi un figlio delicato,
un bellissimo, vergine viticcio
da allacciare al mio tronco, e tu, possente
olmo, tu padre ricco d’ogni forza pura
mieterai liete ombre alle mie luci.

(da “Tu sei Pietro” 1961)

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